La Cassazione torna ad occuparsi della possibilità di provvedere mediante accordo transattivo raggiunto in corso di rapporto locatizio ad eludere le disposizioni di cui all’art. 79 L. 392/78.
Nel caso da cui trae spunto la sentenza in commento la parte locatrice aveva comunicato alla conduttrice una disdetta invalida (diniego di rinnovo alla prima scadenza) poiché “essendo priva dell’indicazione dell’attività che il locatore intendeva andare a svolgere nell’immobile in oggetto, doveva ritenersi generica, alla luce delle indicazioni della giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità che la disdetta si caratterizzi per la precisione del contenuto, senza limitarsi ad affermare che nell’immobile si intende svolgere un’attività non meglio specificata”.
Sulla scorta di ciò ritenendo quindi non operante la predetta disdetta, la Cassazione ha esaminato il successivo accordo transattivo raggiunto tra le parti in forza del quale a fronte della rinuncia della locatrice a far valere la disdetta, veniva previsto un sostanziale aumento del canone, ritenendolo nullo in quanto raggiunto in violazione del divieto di cui all’art. 32 L. 392/78 che come noto consente il solo “aggiornamento” del canone ma non il suo aumento.
La Cassazione, ha dapprima ricordato i precedenti arresti di legittimità che hanno affermato ad esempio, che “l’art. 79 cit., mentre mira ad evitare che, al momento della stipula del contratto, le parti eludano le norme imperative disposte dalla legge, non vieta che, al momento della cessazione del rapporto, esse addivengano ad una transazione sui relativi diritti (sentenza 10 giugno 2005, n. 12320, in materia di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale; in argomento v. pure la sentenza 24 novembre 2007, n. 24458). Si è anche detto che l’art. 79 cit. non si estende agli accordi transattivi conclusi dal conduttore, che si trovi nel possesso del bene, per regolare le conseguenze di fatti sopravvenuti che incidono su situazioni patrimoniali disponibili (sentenze 31 gennaio 2006, n. 2148, e 17 maggio 2010, n. 11947). Così come si è riconosciuto che le parti possono definire in via transattiva la lite tra loro pendente sulla durata o altri aspetti dell’accordo (sentenza 25 febbraio 2008, n. 4714)”.
Nel caso di specie tuttavia la Corte di Cassazione ha escluso che la scrittura privata sottoscritta dalle parti potesse essere qualificata alla stregua di vera e propria transazione e ciò sulla base del fatto che comunque il diniego di rinnovo era inefficace e per cui non vi era alcuna “concessione” da parte della locatrice a fronte invece di un gravoso aumento di canone a carico della conduttrice. In sostanza la Corte ha ritenuto che con la scrittura privata in esame le parti non abbiano voluto un nuovo contratto ma semplicemente inteso proseguire il precedente semplicemente aumentandone il canone previsto contrattualmente e ciò quindi in violazione dell’espresso divieto previsto dall’art. 32 L. 392/78.
La Corte ha tuttavia ricordato comunque come invece “la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto (c.d. canone a scaletta) è legittima a condizione che l’aumento sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio del sinallagma contrattuale; ciò allo scopo di evitare che la suddetta clausola costituisca, appunto, un espediente per aggirare la norma imperativa di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 32, circa le modalità e la misura di aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere d’acquisto della moneta (v. la sentenza 3 febbraio 2011, n. 2553, l’ordinanza 17 maggio 2011, n. 10834, nonchè la sentenza 28 luglio 2014, n. 17061, tutte in linea con una pacifica e risalente giurisprudenza ribadita, ancor più di recente, dalla sentenza 11 ottobre 2016, n. 20384)”.